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Aiuti di Stato e ICI per le attività commerciali della chiesa: non è scontato che i comuni debbano rinunciare al gettito!

Immagine rappresentativa per: Aiuti di Stato e ICI per le attività commerciali della chiesa: non è scontato che i comuni debbano rinunciare al gettito!

Pubblichiamo una lettera inviata dal dott. Enrico Altieri, Presidente Aggiunto Onorario della Suprema Corte di Cassazione - in veste di (autorevole) privato cittadino - al P.G. presso la Corte dei Conti, Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria e ANCI, nella quale da un lato sono evidenziati alcuni rilevi di illegittimità della decisione della Commissione Europea di esonerare lo Stato italiano dal recupero delle agevolazioni ICI alla Chiesa, pur avendole dichiarate aiuti di Stato e, dall'altro lato, è spiegato come l'assenza di un ordine di recupero comunitario non escluda l'obbligo istituzionale di esercizio della potestà impositiva da parte dei comuni in relazione a un tributo non armonizzato.

AiutidiStato.org è orgoglioso di accogliere nel suo comitato scientifico il dott. Enrico Altieri, Presidente Aggiunto Onorario della Suprema Corte di Cassazione, già Presidente della Sezione Tributaria della stessa Corte.

Lo accogliamo pubblicando una lettera dallo stesso inviata, nei giorni scorsi, in qualità di – seppur autorevolissimo - privato cittadino al Procuratore Generale presso la Corte dei Conti, al Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria e all’ANCI.

Nella lettera il dott. Altieri:

  • da un lato, evidenzia alcuni rilievi di illegittimità della decisione della Commissione Europea di esonerare lo Stato Italiano dal recupero delle agevolazioni ICI alla Chiesa, pur avendole dichiarate aiuti di Stato;
  • da un altro lato, invita i comuni a non confondere il profilo del recupero dell’aiuto (che ove imposto è obbligo di rilevanza comunitaria) con l’obbligo istituzionale di esercizio della potestà impositiva (che sussiste a prescindere dalla presunta “impossibilità” di procedere alla quantificazione, che avrebbe giustificato l’esonero da obbligo di recupero).



La decisione della Commissione Europea non è ancora stata resa pubblica, posto che lo Stato Italiano ha richiesto che alcune sue parti venissero secretate. Si dovrà, dunque, attendere la pubblicazione per poter vagliare compiutamente i profili di illegittimità della stessa.

Certo, dalla lettura del sunto contenuto nella comunicato stampa della Commissione UE si può facilmente prevedere che le argomentazioni esposte dal dott. Altieri manterranno inalterato il proprio rilievo e visti i gravi problemi di gettito che affliggono i comuni Italiani in questo periodo, immaginiamo che, incoraggiati da una tale autorevole presa di posizione, non saranno pochi i sindaci che decideranno di far valere le proprie prerogative istituzionali a beneficio dei propri cittadini.

Avv. Giovanni Mameli, Ph.D
Coordinatore AiutidiStato.org

(*) La copia della lettera è stata fornita dall’autore, che ci ha autorizzato alla pubblicazione. La riproduzione della stessa in tutto o in parte su siti e carta stampata è libera, all’unica condizione dell’indicazione di AiutidiStato.org quale fonte presso la quale è stata originariamente pubblicata.


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Io sottoscritto Enrico Altieri, già presidente aggiunto onorario della Corte di Cassazione e presidente della Sezione tributaria della Corte, mi permetto di segnalare alla S.V. quanto segue, per le eventuali iniziative di competenza in materia di responsabilità nei confronti di titolari di organi statali e comunali per i danni conseguenti all’omessa applicazione dell’ICI sugli immobili appartenenti ad enti culturali ed ecclesiastici, adibiti promiscuamente ad attività commerciali e non commerciali.

Copia dell’esposto viene trasmessa anche al Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria e all’ANCI, quale associazione rappresentativa dei Comuni, per eventuali iniziative che impediscano il venir meno di rilevanti entrate fiscali comunali.

Per dissipare ogni dubbio tengo a precisare che l’interesse che ha mosso la stesura di questo scritto non è professionale, né tanto meno elettorale, ma soltanto quello del ripristino della legalità, appartenente a qualunque cittadino, soprattutto quando questo sia in grado di mettere a disposizione una vasta ed articolata esperienza e non sia più vincolato, come giudice, all’obbligo della riservatezza.

Con comunicato stampa del 19 dicembre 2012 la Commissione Europea ha reso noto di aver emesso una decisione di incompatibilità, quali aiuti di Stato, delle agevolazioni fiscali in materia di ICI concesse agli enti non commerciali, e in particolare a quelli svolgenti attività di natura religiosa o cultuale, per gl’immobili utilizzati, oltre che per tali attività, all’esercizio di attività commerciali. Da tale decisione conseguiva automaticamente, in forza dei principi del diritto dell’Unione più volte ribaditi dalla Corte di Giustizia di Lussemburgo, l’obbligo della Repubblica italiana, e quindi dei Comuni, di recuperare l’importo dei tributi non riscossi, maggiorato degl’interessi.

Senonchè, nello stesso comunicato, la Commissione riferisce di non avere ingiunto all’Italia di recuperare l’aiuto, poiché

«le autorità italiane hanno dimostrato che, nel caso di specie, il recupero sarebbe assolutamente impossibile. Più precisamente … hanno dimostrato che è oggettivamente impossibile determinare quale porzione dell’immobile di proprietà dell’ente non commerciale sia stata utilizzata esclusivamente per attività non commerciali, risultando quindi legittimamente esentata dal versamento dell’imposta».


Nel comunicato non si riportano in dettaglio i rilievi delle autorità italiane sull’affermata difficoltà di recupero dell’aiuto.

Sul piano del diritto dell’Unione non si può fare a meno di rilevare che la decisione di non recupero non è frutto di una valutazione discrezionale sulle conseguenze del mancato ripristino dell’equilibrio del mercato, come talvolta la Commissione ha stabilito. Si indica, fra i casi più rilevanti, la decisione di incompatibilità della Commissione n. 91/500/CEE per le agevolazioni fiscali concesse alle province di Trieste e Gorizia con la legge n. 26 del 1986, secondo la quale gli effetti della stessa decisione (fra cui l’obbligo del recupero) non si estendevano al periodo anteriore al 30 giugno 1992, in considerazione delle gravi ripercussioni che il recupero avrebbe avuto sull’economia di tali province.

Nel caso di specie, la mancata imposizione all’Italia dell’ obbligo di recupero dell’ICI viene giustificata soltanto con difficoltà procedurali, e precisamente con quella dell’ente impositore di provare l’(in)esistenza dei presupposti dell’agevolazione, e quindi di determinare l’importo dell’imposta dovuta (e cioè di individuare la parte d’immobile utilizzata per attività non commerciali).

Tale determinazione si pone, però, in palese contrasto, non soltanto con la prassi della Commissione, ma soprattutto con la consolidata giurisprudenza della Corte di Giustizia, secondo cui, per giustificare il mancato recupero, lo Stato membro può invocare soltanto una situazione d’impossibilità assoluta, e tale non può essere considerata una difficoltà di carattere legale o procedurale, ivi compresa l’inesistenza, nell’ordinamento dello Stato membro, di procedure adeguate.

Mi limiterò a richiamare la sentenza della Corte di Giustizia del 20 ottobre 2011 in causa C – 549/09, nella quale non sono state accolte le giustificazioni della Francia circa l’impossibilità di recuperare aiuti concessi agli acquacoltori e ai piscicoltori, negandosi persino la legittimità di dilazioni accordate alle imprese beneficiarie dell’aiuto. La Francia aveva rappresentato « le difficoltà obiettive che essa aveva incontrato per ciò che riguarda l’identificazione delle imprese beneficiarie di tali aiuti, la determinazione del loro ammontare, e il loro recupero effettivo presso le imprese in questione» ( punto 20). La Corte, richiamando la propria consolidata giurisprudenza, così statuiva ( punto 34 ): « Tuttavia conviene ricordare che la condizione d’impossibilità assoluta di esecuzione non ricorre quando lo Stato membro si limiti a comunicare alla Commissione difficoltà giuridiche, politiche o pratiche che si presentino all’esecuzione della decisione ». La Corte ribadiva, quindi, che soltanto un’impossibilità assoluta giustifica il mancato recupero.

Mi sembra, pertanto, del tutto manifesto che la decisione della Commissione si ponga in palese contrasto coi detti principi e che, in conseguenza, sia aperta per i Comuni e per le loro associazioni la via dell’impugnazione della decisione per invalidità , ai sensi degli articoli 258 e 263 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea.

Occorre, altresì, ricordare che, nell’eventuale contenzioso instaurato dinanzi alle commissioni tributarie, cui è attribuita la giurisdizione in materia di tributi locali, queste possono chiedere alla Corte di Giustizia, anche d’ufficio, una pronuncia pregiudiziale sulla validità della decisione ai sensi dell’art. 267 TFUE, la quale, in caso di accertati vizi di legittimità dell’atto della Commissione, avrebbe gli stessi effetti di un annullamento.

L’esistenza di possibili rimedi di diritto dell’Unione contro la decisione di non disporre il recupero lascia, comunque, aperto il problema dell’omesso esercizio, da parte dei Comuni, della potestà impositiva in materia di ICI per gli anni per cui non si sia ancora verificata decadenza (art.11 d.l.vo 30 dicembre 1992, n. 504).

La decisione della Commissione Europea in tema di recupero degli aiuti ( pur considerati illegali e incompatibili ) non ha, infatti, conseguenze sul piano fiscale di diritto interno. Infatti, tale decisione non comporta alcun impedimento all’esercizio della potestà impositiva spettante ai Comuni. Si tratta, infatti, di tributo non armonizzato, in relazione al quale non è attribuita alcuna competenza agli organi dell’Unione oltre a quella in materia di aiuti di stato, e per il quale non si pone alcun problema di violazione di diritti fondamentali o di principi del diritto dell’Unione.

Occorre, pertanto, non confondere il profilo del recupero dell’aiuto (di rilevanza comunitaria) con l’obbligo istituzionale di esercizio della potestà impositiva.
Sotto tale aspetto, l’applicazione dell’ICI non può certamente essere paralizzata da asserite difficoltà di individuare (non i destinatari dell’agevolazione, come è avvenuto nel citato caso francese), ma soltanto le parti d’immobile utilizzate nei singoli periodi d’imposta per attività commerciale, ovvero quelle destinate ad attività religiosa o cultuale. A parte la considerazione che tale difficoltà si presenta per qualunque attività di accertamento riguardante periodi d’imposta anteriori, sembra che la comunicazione delle autorità italiane non abbia considerato che, secondo un principio affermato da una consolidata giurisprudenza della Cassazione (e seguito dalla prassi amministrativa), i presupposti di un regime di esenzione o agevolazione fiscale devono essere individuati e provati, nella loro esistenza e dimensione, dal soggetto che ne invoca l’applicazione. In difetto di tale prova l’ente impositore deve applicare il regime fiscale ordinario: per quanto riguarda l’ICI sull’intero immobile.

Non si può affermare, d’altra parte, che sussista un’impossibilità di prova (con violazione del diritto di difesa garantito dall’art, 24 Cost.), in quanto il soggetto passivo è in grado di dimostrare a posteriori l’uso fatto di determinate parti dell’immobile, soprattutto quando le stesse abbiano particolari caratteristiche strutturali, come chiese, oratori o cappelle. Tali difficoltà si presentano, d’altronde, per qualunque tributo, nella dimostrazione a posteriori di qualità o caratteristiche di un bene o di un’operazione soggetti ad imposta, quando le stesse sono presupposto di un’agevolazione di cui l’amministrazione contesti la spettanza.

Mi permetto di richiamare alcune decisioni della Corte di Cassazione, nelle quali tale criterio di ripartizione dell’onere della prova è stato affermato:

  • in materia di imposte sul reddito, la sentenza delle Sezioni Unite n. 10253 / 07, confermata da una successiva e consolidata giurisprudenza, secondo la quale il regime agevolato per gli enti non commerciali in materia di tassazione dei dividendi può essere applicato alle fondazioni bancarie condizionatamente alla prova, incombente a tali soggetti e non all’AF, della loro non ingerenza nella gestione dell’impresa bancaria partecipata;
  • per quanto concerne la finanza locale, è opportuna richiamare la giurisprudenza in materia di TARSU ( il cui presupposto impositivo è l’occupazione o la detenzione di locali ed aree scoperte a qualsiasi uso adibiti (art. 62 d.l.vo n. 597 del 1993 ), e il quantum è calcolato sulla superficie degli stessi). In merito la giurisprudenza ha costantemente affermato che l’esistenza di superfici o locali non destinati alla produzione di rifiuti (e quindi non computabili ai fini della determinazione della tassa dovuta) deve essere dimostrata dal contribuente e che, pertanto, in difetto di tale prova, la tassa deve essere calcolata in relazione all’intera superficie dell’immobile (sentenze n. 4766, 12084, 15083 e 17703 del 2004 e, più di recente, n. 2202 del 2011);
  • in materia di ICI lo stesso principio è stato enunciato dalle sentenze n. 5485/ 08 12036/ 09; 245900/09; 16728/10; 19731/10 e 27165/11; diverse decisioni riguardano proprio gli immobili destinati parzialmente ad attività religiose.



Con osservanza.
Enrico Altieri

[17 gennaio 2013]

di Pres. agg. on. della Cassazione Enrico Altieri

Argomenti (TAGS): recupero degli aiuti illegali - nozione di impresa - no profit -

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