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La Corte di Giustizia (Causa C-119/05) ha afferma to che il diritto comunitario osta all'applicazione del principio dell'autorità della cosa giudicata ove lo stesso contrasti con il principio di effettività, nei limiti in cui l’applicazione del primo principio impedisce il recupero di un aiuto di Stato dichiarato incompatibile con decisione della Commissione divenuta definitiva.
1. La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sui principi di diritto comunitario applicabili alla revoca di un atto nazionale di concessione di aiuti di Stato incompatibili con il diritto comunitario, adottato in applicazione di una pronuncia giurisdizionale nazionale che ha acquistato autorità di cosa giudicata.
2. Tale domanda è stata sollevata nell’ambito di un ricorso proposto dalla società di diritto italiano Lucchini SpA (già Siderpotenza SpA, successivamente Lucchini Siderurgica SpA, in prosieguo: la «Lucchini») contro la decisione del Ministero dell’Industria, del Commercio e dell’Artigianato (in prosieguo: il «MICA») che ha disposto il recupero di un aiuto di Stato. Il MICA è subentrato ad altri enti in precedenza incaricati della gestione degli aiuti di Stato nella regione del Mezzogiorno (in prosieguo, collettivamente: le «autorità competenti»).
3. L’art. 4, lett. c), del Trattato CECA vieta le sovvenzioni o gli aiuti concessi dagli Stati membri, in qualunque forma, nei settori industriali del carbone e dell’acciaio.
4. A partire dal 1980, a fronte di una crisi sempre più acuta e generalizzata del settore siderurgico in Europa, è stata adottata, in base all’art. 95, primo e secondo comma, del Trattato CECA, una serie di misure in deroga a tale divieto assoluto e incondizionato.
5. In particolare, la decisione della Commissione 7 agosto 1981, n. 2320/81/CECA, recante norme comunitarie per gli aiuti a favore dell’industria siderurgica (GU L 228, pag. 14; in prosieguo: il «secondo codice»), ha adottato un secondo codice degli aiuti di Stato alla siderurgia. Scopo del detto codice era di permettere la concessione di aiuti per il risanamento delle imprese siderurgiche e la riduzione delle loro capacità produttive al livello della domanda prevedibile, disponendo nel contempo la soppressione graduale di tali aiuti entro scadenze prefissate, sia per quanto riguarda la loro notifica alla Commissione (30 settembre 1982) e loro autorizzazione (1° luglio 1983) che per la loro erogazione (31 dicembre 1984). Tali termini sono stati prorogati, per quanto riguarda la notifica, al 31 maggio 1985, per quanto riguarda l’autorizzazione, al 1º agosto 1985, e, per quanto riguarda il versamento, al 31 dicembre 1985, mediante la decisione della Commissione 19 aprile 1985, n. 1018/85/CECA, che modifica la decisione 2320/81 (GU L 110, pag. 5).
6. Il secondo codice prevedeva una procedura obbligatoria di approvazione da parte della Commissione di tutti gli aiuti progettati. In particolare, il suo art. 8, n. 1, così disponeva:
«Alla Commissione sono comunicati in tempo utile perché presenti le sue osservazioni i progetti intesi ad istituire o modificare aiuti (…). Lo Stato membro interessato può dare attuazione alle misure prospettate soltanto previa autorizzazione della Commissione e conformandosi alle condizioni da essa stabilite».
7. La decisione della Commissione 27 novembre 1985, n. 3484/85/CECA, recante norme comunitarie per gli aiuti a favore della siderurgia (GU L 340, pag. 1; in prosieguo: il «terzo codice»), ha sostituito il secondo codice e ha istituito un terzo codice degli aiuti alla siderurgia per consentire una nuova deroga, più limitata, dal 1º gennaio 1986 al 31 dicembre 1988, al divieto previsto all’art. 4, lett. c), del Trattato CECA.
8. Ai sensi dell’art. 3 del terzo codice, la Commissione poteva, in particolare, autorizzare aiuti generali a favore dell’adattamento degli impianti alle nuove disposizioni di legge in materia di tutela dell’ambiente. L’ammontare degli aiuti concessi non poteva superare il 15% in equivalente sovvenzione netto delle spese d’investimento.
9. L’art. 1, n. 3, del terzo codice precisava che gli aiuti potevano essere concessi soltanto in conformità delle procedure dell’art. 6 e non potevano dar luogo a pagamenti posteriori al 31 dicembre 1988.
10. L’art. 6, nn. 1, 2 e 4, del terzo codice era formulato nei termini seguenti:
« 1. Alla Commissione sono comunicati, in tempo utile affinché possa pronunciarsi al riguardo, i progetti intesi ad istituire o a modificare aiuti (…). Essa è informata nello stesso modo dei progetti intesi ad applicare al settore siderurgico regimi di aiuti sui quali essa si è già pronunciata sulla base delle disposizioni del trattato CEE. Le notifiche dei progetti di aiuto di cui al presente articolo devono essere effettuate entro il 30 giugno 1988.
2. Alla Commissione sono comunicati in tempo utile affinché possa pronunciarsi al riguardo, e al più tardi entro il 30 giugno 1988, tutti i progetti di intervento finanziario (assunzioni di partecipazioni, conferimenti di capitale o misure simili) da parte di Stati membri, enti territoriali o organismi che utilizzano a tal fine risorse pubbliche, a favore di imprese siderurgiche.
La Commissione accerta se questi interventi contengono elementi di aiuto (…) ed eventualmente ne valuta la compatibilità con le disposizioni degli articoli da 2 a 5 della presente decisione.
(…)
4. Se, dopo aver invitato gli interessati a presentare le loro osservazioni, la Commissione rileva che un aiuto non è compatibile con le disposizioni della presente decisione, essa informa lo Stato membro interessato della propria decisione. La Commissione decide al più tardi entro tre mesi dal ricevimento delle informazioni necessarie per potersi pronunciare sull’aiuto in questione. Qualora uno Stato membro non si conformi a tale decisione, si applicano le disposizioni dell’articolo 88 del trattato CECA. Lo Stato membro interessato non può dar esecuzione alle misure progettate di cui ai paragrafi 1 e 2 se non previa approvazione della Commissione e conformandosi alle condizioni da essa stabilite».
11. Il terzo codice è stato sostituito, a partire dal 1º gennaio1989 e fino al 31 dicembre 1991, da un quarto codice, istituito con la decisione della Commissione 1º febbraio 1989, n. 322/89/CECA, recante norme comunitarie per gli aiuti a favore della siderurgia (GU L 38, pag. 8), che riproduceva segnatamente l’art. 3 del terzo codice.
12. Dopo la scadenza del Trattato CECA, il 23 luglio 2002, anche agli aiuti di Stato nel settore siderurgico si applica il regime previsto dal Trattato CE.
13. La legge 2 maggio 1976, n. 183, sulla disciplina dell’intervento straordinario nel Mezzogiorno (GURI n. 121 dell’8 maggio 1976; in prosieguo: la «legge n. 183/1976») prevedeva, in particolare, la possibilità di concedere agevolazioni finanziarie sia in conto capitale sino al 30% dell’importo degli investimenti, che in conto interessi, per la realizzazione di iniziative industriali nel Mezzogiorno.
14. L’art. 2909 del codice civile italiano, intitolato «Cosa giudicata», dispone quanto segue:
«L’accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato fa stato a ogni effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa».
15. Stando al giudice a quo, questa disposizione copre il dedotto e il deducibile.
16. A livello processuale, essa preclude nuovi processi relativamente a controversie sulle quali un altro organo giurisdizionale si sia già pronunciato in via definitiva.
17. Il 6 novembre 1985, la Lucchini presentava alle autorità competenti una domanda di agevolazioni finanziarie, ai sensi della legge n. 183/1976, per l’ammodernamento di taluni impianti siderurgici. A fronte di un investimento complessivo di ITL 2 550 milioni, la Lucchini chiedeva la concessione di un contributo in conto capitale di ITL 765 milioni (ovvero il 30% della spesa) e di un contributo in conto interessi su un finanziamento di ITL 1 020 milioni. L’istituto di credito incaricato di istruire la domanda di finanziamento prevedeva un prestito della somma richiesta per una durata di dieci anni al tasso d’interesse agevolato del 4,25%.
18. Con lettera del 20 aprile 1988, le autorità competenti notificavano alla Commissione il progetto di aiuto a favore della Lucchini, a norma dell’art. 6, n. l, del terzo codice. Secondo la notifica, tale aiuto riguardava un investimento volto al miglioramento della tutela ambientale. Il valore del contributo in conto interessi sul prestito di ITL 1 020 milioni veniva indicato in ITL 367 milioni.
19. Con lettera del 22 giugno 1988, la Commissione chiedeva informazioni integrative sulla natura dell’investimento sovvenzionato nonché le condizioni esatte (tasso, durata) del prestito richiesto. La lettera invitava inoltre le autorità competenti a indicare se gli aiuti erano concessi in applicazione di un regime generale a favore della tutela dell’ambiente per agevolare l’adattamento degli impianti a eventuali nuove norme in materia, specificando le norme di cui si trattava. A tale lettera le autorità competenti non davano risposta.
20. Il 16 novembre 1988, all’approssimarsi della scadenza del termine fissato al 31 dicembre di quello stesso anno dal terzo codice per l’erogazione degli aiuti, le autorità competenti decidevano di accordare provvisoriamente alla Lucchini un contributo in conto capitale di ITL 382,5 milioni, ovvero il 15% dell’importo degli investimenti (in luogo del 30% previsto dalla legge n. 183/76), da erogare entro il 31 dicembre 1988, come prescritto dal terzo codice. Il contributo in conto interessi veniva invece negato in quanto esso avrebbe portato l’importo totale degli aiuti accordati oltre la soglia del 15% prevista dal detto codice. Ai sensi dell’art. 6 del terzo codice, l’adozione del provvedimento definitivo di concessione dell’aiuto veniva subordinata all’approvazione della Commissione e non veniva effettuato alcun pagamento da parte delle autorità competenti.
21. La Commissione, non essendo in grado, in mancanza di chiarimenti da parte delle autorità competenti, di valutare immediatamente la compatibilità degli aiuti progettati con le norme del mercato comune, avviava nei confronti delle stesse il procedimento ex art. 6, n. 4, del terzo codice e le informava in proposito con lettera del 13 gennaio 1989. Al riguardo veniva pubblicata una comunicazione nella Gazzetta ufficiale delle Comunità europee del 23 marzo 1990 (GU L 73, pag. 5).
22. Con telex del 9 agosto 1989 le autorità competenti fornivano informazioni supplementari riguardo agli aiuti di cui trattasi. Con lettera del 18 ottobre 1989 la Commissione comunicava a tali autorità che la loro risposta non era soddisfacente in quanto continuavano a mancare diverse informazioni. La Commissione segnalava inoltre che, in mancanza di una risposta adeguata entro il termine di quindici giorni lavorativi, essa avrebbe potuto legittimamente adottare una decisione definitiva in base alle sole informazioni in suo possesso. Quest’ultima lettera non riceveva risposta.
23. Con decisione 20 giugno 1990, 90/555/CECA, riguardante taluni progetti di aiuti delle autorità italiane a favore delle Acciaierie del Tirreno e di Siderpotenza (N195/88 – N200/88) (GU L 314, pag. 17), la Commissione dichiarava incompatibili con il mercato comune tutti gli aiuti previsti a favore della Lucchini, ritenendo che non fosse stato dimostrato che ricorressero i presupposti necessari per la deroga di cui all’art. 3 del terzo codice.
24. La decisione veniva notificata alle autorità competenti il 20 luglio 1990 e pubblicata nella Gazzetta ufficiale delle Comunità europee il 14 novembre 1990. La Lucchini non impugnava tale decisione entro il termine di un mese previsto dall’art. 33, terzo comma, del Trattato CECA.
25. Prima dell’adozione della decisione 90/555, la Lucchini, preso atto del mancato versamento dell’aiuto, il 6 aprile 1989 citava in giudizio le autorità competenti dinanzi al Tribunale civile e penale di Roma affinché venisse dichiarato il suo diritto all’erogazione dell’intero aiuto originariamente richiesto (ovvero un contributo di ITL 765 milioni in conto capitale e di ITL 367 milioni in conto interessi).
26. Con sentenza 24 giugno 1991, dunque successivamente alla decisione 90/555, il Tribunale civile e penale di Roma dichiarava che la Lucchini aveva diritto all’erogazione dell’aiuto di cui trattasi e condannava le autorità competenti al pagamento delle somme reclamate. La sentenza si fondava interamente sulla legge n. 183/1976. Né il Trattato CECA, né il terzo o il quarto codice, né la decisione della Commissione 90/555 erano citati dalle parti dinanzi al Tribunale civile e penale di Roma e il giudice non vi faceva riferimento d’ufficio. Il secondo codice era stato citato dalle autorità competenti, ma l’organo giurisdizionale di cui trattasi non ne aveva tenuto conto in quanto non più in vigore all’epoca dei fatti.
27. Le autorità competenti impugnavano la sentenza dinanzi alla Corte d’appello di Roma. Esse eccepivano il difetto di giurisdizione del giudice civile, sostenevano che non incombeva loro alcun obbligo all’erogazione dell’aiuto e affermavano per la prima volta, in via subordinata, che tale obbligo sussisteva, in virtù dell’art. 3 del terzo codice, solo fino a concorrenza del limite del 15% dell’investimento.
28. Con sentenza 6 maggio 1994, la Corte d’appello di Roma respingeva l’appello e confermava la sentenza del Tribunale civile e penale di Roma.
29. Con nota del 19 gennaio 1995 l’Avvocatura Generale dello Stato analizzava la sentenza d’appello e concludeva per la sua correttezza tanto sotto il profilo della motivazione quanto dell’applicazione del diritto. Di conseguenza, le autorità competenti non la impugnavano in cassazione. La sentenza d’appello, non essendo stata impugnata, passava in giudicato il 28 febbraio 1995.
30. Poiché l’aiuto permaneva non versato, il 20 novembre 1995, su ricorso della Lucchini, il Presidente del Tribunale civile e penale di Roma ingiungeva alle autorità competenti di pagare gli importi dovuti alla Lucchini. Il decreto era dichiarato provvisoriamente esecutivo e nel febbraio 1996 la Lucchini, nel persistere dell’inadempimento, otteneva il pignoramento di alcuni beni del MICA, in particolare di autovetture di servizio.
31. L’8 marzo 1996, con decreto n. 17975 del direttore generale del MICA, venivano pertanto accordati alla Lucchini un contributo di ITL 765 milioni in conto capitale e di ITL 367 milioni in conto interessi, in esecuzione della sentenza della Corte d’Appello di Roma. Il decreto precisava che tali aiuti avrebbero potuto essere revocati, in tutto in parte, tra l’altro, «in caso di decisioni comunitarie sfavorevoli in merito alla concedibilità ed erogabilità delle agevolazioni finanziarie». Il 22 marzo 1996 venivano versati tali aiuti, per un importo di ITL l 132 milioni, cui si aggiungeva la somma di ITL 601,375 milioni, corrisposta il 16 aprile 1996, a titolo di interessi legali.
32. Con nota del 15 luglio 1996 rivolta alle autorità italiane la Commissione osservava che, malgrado la decisione 90/555:
«(...) a seguito di una sentenza della Corte d’Appello di Roma in data 6 maggio 1994, la quale, in spregio ai più elementari principi del diritto comunitario, avrebbe stabilito il diritto per [la Lucchini] di vedersi riconosciuta la concessione degli aiuti già dichiarati incompatibili dalla Commissione, [le autorità competenti], non avendo giudicato opportuno ricorrere in Cassazione, [hanno] concesso, nell’aprile di quest’anno, i predetti aiuti incompatibili con il mercato comune».
33. Le autorità competenti rispondevano con nota in data 26 luglio 1996 osservando che gli aiuti erano stati concessi «fatto salvo il diritto di ripetizione».
34. Con nota del 16 settembre 1996, n. 5259, la Commissione esprimeva il parere che le autorità competenti, versando alla Lucchini aiuti già dichiarati incompatibili con il mercato comune dalla decisione 90/555, avessero violato il diritto comunitario ed invitava le medesime autorità a recuperare gli aiuti di cui trattasi entro un termine di quindici giorni e a comunicarle, entro il termine di un mese, le concrete misure adottate per conformarsi a tale decisione. In caso contrario, la Commissione si proponeva di accertare l’inadempimento ai sensi dell’art. 88 del Trattato CECA ed invitava dunque le autorità competenti a presentare, entro dieci giorni lavorativi, eventuali nuove osservazioni ai sensi dell’art. 88, n. l, del Trattato CECA.
35. Con decreto 20 settembre 1996, n. 20357, il MICA revocava il precedente decreto 8 marzo 1996, n. 17975, e ordinava alla Lucchini di restituire la somma di ITL 1 132 milioni, maggiorata di interessi nella misura del tasso di riferimento, nonché la somma di ITL 601,375 milioni, maggiorata della rivalutazione monetaria.
36. Con ricorso del 16 novembre 1996, la Lucchini impugnava il decreto n. 20357 dinanzi al Tribunale amministrativo regionale del Lazio. Con sentenza 1º aprile 1999 quest’ultimo accoglieva il ricorso della Lucchini, ritenendo che la potestà della pubblica amministrazione di rimuovere i propri atti invalidi per vizi di legittimità o di merito incontrasse, nella specie, il limite costituito dal diritto all’erogazione dell’aiuto accertato dalla Corte d’appello di Roma con sentenza passata in giudicato.
37. L’Avvocatura Generale dello Stato, per conto del MICA, il 2 novembre 1999 proponeva appello dinanzi al Consiglio di Stato, deducendo, in particolare, un motivo secondo il quale il diritto comunitario immediatamente applicabile, comprendente sia il terzo codice che la decisione 90/555, doveva prevalere sull’autorità di cosa giudicata della sentenza della Corte d’appello di Roma.
38. Il Consiglio di Stato constatava la sussistenza di un conflitto tra tale sentenza e la decisione 90/555.
39. Secondo il Consiglio di Stato, risulta evidente che le autorità competenti avrebbero potuto e dovuto tempestivamente eccepire l’esistenza della decisione 90/555 nel corso della controversia risolta dalla Corte d’appello di Roma, controversia nella quale, fra l’altro, si discuteva in ordine alla legittimità della mancata erogazione del contributo per la necessità di attendere l’approvazione della Commissione. In tali condizioni, avendo poi le autorità competenti rinunciato ad impugnare la sentenza pronunciata dalla Corte d’appello di Roma, non vi sarebbe dubbio che la predetta sentenza sia passata in giudicato, e che l’area dei fatti coperta dal giudicato sia estesa alla compatibilità comunitaria della sovvenzione, quantomeno con riferimento alle decisioni comunitarie preesistenti al giudicato. Gli effetti del giudicato sarebbero quindi astrattamente invocabili anche con riguardo alla decisione 90/555, intervenuta prima della conclusione della controversia.
40. Alla luce di quanto sopra, il Consiglio di Stato ha deciso di sospendere il processo e di sottoporre alla Corte le due questioni pregiudiziali seguenti:
«1) Se, in forza del principio del primato del diritto comunitario immediatamente applicabile, costituito nella specie [dal terzo codice], dalla decisione [90/555], nonché dalla [nota] n. 5259 (...), di intimazione del recupero dell’aiuto – atti tutti alla stregua dei quali è stato adottato l’atto di recupero impugnato nel presente processo (ossia il decreto n. 20357 [...]) – sia giuridicamente possibile e doveroso il recupero dell’aiuto da parte dell’amministrazione interna nei confronti di un privato beneficiario, nonostante la formazione di un giudicato civile affermativo dell’obbligo incondizionato di pagamento dell’aiuto medesimo.
2) Ovvero se, stante il pacifico principio secondo il quale la decisione sul recupero dell’aiuto è regolata dal diritto comunitario ma la sua attuazione ed il relativo procedimento di recupero, in assenza di disposizioni comunitarie in materia, è retta dal diritto nazionale (principio sul quale cfr. Corte di Giustizia 21 settembre 1983 in causa 205‑215/82 Deutsche Milchkontor [e a.], Racc. pag. 2633), il procedimento di recupero non divenga giuridicamente impossibile in forza di una concreta decisione giudiziaria, passata in cosa giudicata (art. 2909 cod. civ.) che fa stato fra privato ed amministrazione ed obbliga l’amministrazione a conformarvisi».
41. Va osservato preliminarmente che la Corte resta competente a pronunciarsi su questioni pregiudiziali relative all’interpretazione e all’applicazione del Trattato CECA, nonché degli atti emanati sulla scorta di quest’ultimo, anche qualora tali questioni le siano sottoposte dopo la scadenza del Trattato CECA. Benché, in tali circostanze, non venga più fatta applicazione dell’art. 41 del Trattato CECA per conferire una competenza alla Corte, sarebbe contrario allo scopo e alla coerenza sistematica dei Trattati nonché incompatibile con la continuità dell’ordinamento giuridico comunitario che la Corte non fosse abilitata a garantire l’uniforme interpretazione delle norme connesse al Trattato CECA che continuano a produrre effetti anche dopo la scadenza di quest’ultimo (v., in tal senso, sentenza 22 febbraio 1990, causa C‑221/88, Busseni, Racc. pag. I‑495, punto 16). Del resto, la competenza della Corte a questo proposito non è stata contestata da nessuna delle parti che hanno presentato osservazioni.
42. Per altri motivi, la Lucchini contesta tuttavia la ricevibilità della domanda di pronuncia pregiudiziale. Le eccezioni da essa sollevate in proposito vertono sull’insussistenza di una norma comunitaria da interpretare, sull’incompetenza della Corte ad interpretare una sentenza di un giudice nazionale o l’art. 2909 del codice civile italiano, nonché sull’ipoteticità delle questioni pregiudiziali.
43. A tale proposito, occorre ricordare che, nell’ambito di un procedimento ex art. 234 CE, basato sulla netta separazione di funzioni tra i giudici nazionali e la Corte, ogni valutazione dei fatti di causa rientra nella competenza del giudice nazionale. Parimenti, spetta esclusivamente al giudice nazionale, cui è stata sottoposta la controversia e che deve assumersi la responsabilità dell’emananda decisione giurisdizionale, valutare, alla luce delle particolari circostanze della causa, sia la necessità di una pronuncia pregiudiziale per essere in grado di emettere la propria sentenza, sia la rilevanza delle questioni che sottopone alla Corte. Di conseguenza, se le questioni sollevate riguardano l’interpretazione del diritto comunitario, la Corte, in via di principio, è tenuta a pronunciarsi (v., in particolare, sentenze 25 febbraio 2003, causa C‑326/00, IKA, Racc. pag. I‑1703, punto 27, 12 aprile 2005, causa C‑145/03, Keller, Racc. pag. I‑2529, punto 33, e 22 giugno 2006, causa C‑419/04, Conseil général de la Vienne, Racc. pag. I‑5645, punto 19).
44. Tuttavia, la Corte ha altresì dichiarato che, in ipotesi eccezionali, essa può esaminare le condizioni in cui è adita dal giudice nazionale al fine di verificare la propria competenza (v., in tal senso, sentenza 16 dicembre 1981, causa 244/80, Foglia, Racc. pag. 3045, punto 21). Il rifiuto di statuire su una questione pregiudiziale sollevata da un giudice nazionale è possibile solo qualora risulti manifestamente che la richiesta interpretazione del diritto comunitario non ha alcuna relazione con la realtà o con l’oggetto della causa principale, qualora il problema sia di natura ipotetica oppure qualora la Corte non disponga degli elementi di fatto o di diritto necessari per fornire una soluzione utile alle questioni che le sono sottoposte (v., in particolare, sentenze 13 marzo 2001, causa C‑379/98, PreussenElektra, Racc. pag. I‑2099, punto 39; 22 gennaio 2002, causa C‑390/99, Canal Satélite Digital, Racc. pag. I‑607, punto 19, e Conseil général de la Vienne, cit., punto 20).
45. Occorre rilevare che così non è nel caso di specie.
46. È infatti manifesto che la presente domanda di pronuncia pregiudiziale verte su norme di diritto comunitario. Nel caso di specie si chiede alla Corte non di interpretare il diritto nazionale o una sentenza di un giudice nazionale, bensì di precisare i limiti entro i quali i giudici nazionali sono tenuti, in forza del diritto comunitario, a disapplicare il diritto nazionale. Ne risulta pertanto che le questioni sollevate sono in relazione con l’oggetto della controversia, come definito dal giudice a quo, e che la soluzione delle questioni sollevate può essere utile a quest’ultimo per consentirgli di disporre o meno l’annullamento dei provvedimenti adottati per il recupero degli aiuti di cui trattasi.
47. La Corte è pertanto competente a statuire sulla presente domanda di pronuncia pregiudiziale.
48. Con le questioni sollevate, che è opportuno esaminare congiuntamente, il giudice a quo domanda in sostanza se il diritto comunitario osti all’applicazione di una disposizione del diritto nazionale, come l’art. 2909 del codice civile italiano, volta a sancire il principio dell’autorità di cosa giudicata, nei limiti in cui l’applicazione di tale disposizione impedisce il recupero di un aiuto di Stato erogato in contrasto con il diritto comunitario e la cui incompatibilità con il mercato comune è stata dichiarata con decisione della Commissione divenuta definitiva.
49. In tale contesto va ricordato anzitutto che, nell’ordinamento giuridico comunitario, le competenze dei giudici nazionali sono limitate sia per quanto riguarda il settore degli aiuti di Stato sia relativamente alla dichiarazione d’invalidità degli atti comunitari.
50. In materia di aiuti di Stato, ai giudici nazionali possono essere sottoposte controversie nelle quali essi siano tenuti ad interpretare e ad applicare la nozione di aiuto di cui all’art. 87, n. 1, CE, segnatamente al fine di valutare se un provvedimento statale, adottato senza seguire il procedimento di controllo preventivo di cui all’art. 88, n. 3, CE, debba o meno esservi soggetto (sentenze 22 marzo 1977, causa 78/76, Steinike & Weinlig, Racc. pag. 595, punto 14, e 21 novembre 1991, causa C‑354/90, Fédération nationale du commerce extérieur des produits alimentaires et Syndicat national des négociants et transformateurs de saumon, Racc. pag. I‑5505, punto 10). Analogamente, al fine di poter determinare se una misura statale attuata senza tener conto della procedura di esame preliminare prevista dall’art. 6 del terzo codice dovesse esservi o meno assoggettata, un giudice nazionale può essere indotto a interpretare la nozione di aiuto di cui all’art. 4, lett. c), del Trattato CECA e all’art. 1 del terzo codice (v., per analogia, sentenza 20 settembre 2001, causa C‑390/98, Banks, Racc. pag. I‑6117, punto 71).
51. Per contro, i giudici nazionali non sono competenti a pronunciarsi sulla compatibilità di un aiuto di Stato con il mercato comune.
52. Emerge infatti da una giurisprudenza costante che la valutazione della compatibilità con il mercato comune di misure di aiuto o di un regime di aiuti rientra nella competenza esclusiva della Commissione, che opera sotto il controllo del giudice comunitario (v. sentenze Steinike & Weinlig, cit., punto 9; Fédération nationale du commerce extérieur des produits alimentaires et Syndicat national des négociants et transformateurs de saumon, cit., punto 14, nonché 11 luglio 1996, causa C‑39/94, SFEI e a., Racc. pag. I‑3547, punto 42).
53. Sebbene in linea di principio i giudici nazionali possano trovarsi ad esaminare la validità di un atto comunitario, non sono però competenti a dichiarare essi stessi l’invalidità degli atti delle istituzioni comunitarie (sentenza 22 ottobre 1987, causa 314/85, Foto‑Frost, Racc. pag. 4199, punto 20). La Corte è quindi la sola competente a dichiarare l’invalidità di un atto comunitario (sentenze 21 febbraio 1991, cause riunite C‑143/88 e C‑92/89, Zuckerfabrik Süderdithmarschen e Zuckerfabrik Soest, Racc. pag. I‑415, punto 17, nonché 10 gennaio 2006, causa C‑344/04, IATA e ELFAA, Racc. pag. I‑403, punto 27). Del resto, tale competenza esclusiva risultava altresì esplicitamente dall’art. 41 del Trattato CECA.
54. Inoltre, secondo una giurisprudenza costante, una decisione adottata dalle istituzioni comunitarie che non sia stata impugnata dal destinatario entro il termine stabilito dall’art. 230, quinto comma, CE diviene definitiva nei suoi confronti (v., in particolare, sentenze 9 marzo 1994, causa C‑188/92, TWD Textilwerke Deggendorf, Racc. pag. I‑833, punto 13, e 22 ottobre 2002, causa C‑241/01, National Farmers’ Union, Racc. pag. I‑9079, punto 34).
55. La Corte ha altresì escluso la possibilità che il beneficiario di un aiuto di Stato oggetto di una decisione della Commissione direttamente indirizzata soltanto allo Stato membro in cui era residente questo beneficiario, che avrebbe potuto senza alcun dubbio impugnare tale decisione e che ha lasciato decorrere il termine perentorio all’uopo prescritto dall’art. 230, quinto comma, CE, possa utilmente contestare la legittimità della decisione dinanzi ai giudici nazionali nell’ambito di un ricorso proposto avverso i provvedimenti presi dalle autorità nazionali in esecuzione di tale decisione (citate sentenze TWD Textilwerke Deggendorf, punti 17 e 20, nonché National Farmers’ Union, punto 35). Gli stessi principi si applicano necessariamente, mutatis mutandis, nell’ambito d’applicazione del Trattato CECA.
56. Se ne deve pertanto concludere che correttamente il giudice a quo ha deciso di non sottoporre alla Corte una questione concernente la validità della decisione 90/555, decisione che la Lucchini avrebbe potuto impugnare nel termine di un mese dalla pubblicazione in forza dell’art. 33 del Trattato CECA, cosa che si è astenuta dal fare. Per gli stessi motivi non può essere accolto il suggerimento della Lucchini che chiede alla Corte, in subordine, di esaminare eventualmente d’ufficio la validità della medesima decisione.
57. Dalle considerazioni sin qui svolte emerge che né il Tribunale civile e penale di Roma né la Corte d’appello di Roma erano competenti a pronunciarsi sulla compatibilità degli aiuti di Stato richiesti dalla Lucchini con il mercato comune e che né l’uno né l’altro di questi organi giurisdizionali avrebbe potuto constatare l’invalidità della decisione 90/555, che aveva dichiarato tali aiuti incompatibili con il detto mercato.
58. A questo proposito, si può del resto rilevare che né la sentenza della Corte d’appello di Roma, di cui si fa valere l’autorità di cosa giudicata, né la sentenza del Tribunale civile e penale di Roma si pronunciano esplicitamente sulla compatibilità con il diritto comunitario degli aiuti di Stato richiesti dalla Lucchini e tantomeno sulla validità della decisione 90/555.
59. Stando al giudice nazionale, l’art. 2909 del codice civile italiano osta non solo alla possibilità di dedurre nuovamente, in una seconda controversia, motivi sui quali un organo giurisdizionale si sia già pronunciato esplicitamente in via definitiva, ma anche alla disamina di questioni che avrebbero potuto essere sollevate nell’ambito di una controversia precedente senza che ciò sia però avvenuto. Da siffatta interpretazione della norma potrebbe conseguire, in particolare, che a una decisione di un giudice nazionale vengano attribuiti effetti che eccedono i limiti della competenza del giudice di cui trattasi, quali risultano dal diritto comunitario. Come ha osservato il giudice a quo, è chiaro che l’applicazione di tale norma, così interpretata, impedirebbe nel caso di specie l’applicazione del diritto comunitario in quanto renderebbe impossibile il recupero di un aiuto di Stato concesso in violazione del diritto comunitario.
60. In tale contesto va ricordato che spetta ai giudici nazionali interpretare le disposizioni del diritto nazionale quanto più possibile in modo da consentirne un’applicazione che contribuisca all’attuazione del diritto comunitario.
61. Risulta inoltre da una giurisprudenza costante che il giudice nazionale incaricato di applicare, nell’ambito della propria competenza, le norme di diritto comunitario ha l’obbligo di garantire la piena efficacia di tali norme, disapplicando all’occorrenza, di propria iniziativa, qualsiasi disposizione contrastante della legislazione nazionale (v., in particolare, sentenze 9 marzo 1978, causa 106/77, Simmenthal, Racc. pag. 629, punti 21‑24; 8 marzo 1979, causa 130/78, Salumificio di Cornuda, Racc. pag. 867, punti 23‑27, e 19 giugno 1990, causa C‑213/89, Factortame e a., Racc. pag. I‑2433, punti 19‑21).
62. Come dichiarato al punto 52 della presente sentenza, la valutazione della compatibilità con il mercato comune di misure di aiuto o di un regime di aiuti è di competenza esclusiva della Commissione, che agisce sotto il controllo del giudice comunitario. Questo principio è vincolante nell’ordinamento giuridico nazionale in quanto corollario della preminenza del diritto comunitario.
63. Le questioni sollevate vanno pertanto risolte nel senso che il diritto comunitario osta all’applicazione di una disposizione del diritto nazionale, come l’art. 2909 del codice civile italiano, volta a sancire il principio dell’autorità di cosa giudicata, nei limiti in cui l’applicazione di tale disposizione impedisce il recupero di un aiuto di Stato erogato in contrasto con il diritto comunitario e la cui incompatibilità con il mercato comune è stata dichiarata con decisione della Commissione divenuta definitiva.
64 . Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.
Il diritto comunitario osta all’applicazione di una disposizione del diritto nazionale, come l’art. 2909 del codice civile italiano, volta a sancire il principio dell’autorità di cosa giudicata, nei limiti in cui l’applicazione di tale disposizione impedisce il recupero di un aiuto di Stato erogato in contrasto con il diritto comunitario e la cui incompatibilità con il mercato comune è stata dichiarata con decisione della Commissione delle Comunità europee divenuta definitiva.
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